“Socialometro” : genialata o topolino ?
Il viceministro dell’Economia, Maurizio Leo, ha recentemente annunciato l’introduzione di un nuovo strumento di controllo fiscale, noto come “socialometro“. Questo sistema prevede l’analisi delle foto e delle dichiarazioni pubblicate sui social network per valutare la coerenza tra il tenore di vita mostrato online e i dati reddituali dichiarati dai contribuenti. Questa iniziativa mira a integrare il già esistente meccanismo del redditometro.
Durante un’audizione presso la commissione parlamentare di vigilanza sull’anagrafe tributaria, Leo ha spiegato che il governo, in collaborazione con l’Agenzia delle Entrate e Sogei, sta lavorando allo sviluppo di tecniche di data scraping. L’obiettivo è andare oltre i dati forniti dagli Indici Sintetici di Affidabilità (ISA), relativi alle attività professionali e imprenditoriali, includendo anche elementi significativi che riflettono il tenore di vita dei contribuenti.
Leo ha sottolineato che molti professionisti e imprenditori condividono online dettagli delle loro vacanze o visite a ristoranti di lusso. Queste informazioni potrebbero essere utilizzate per arricchire i dati già noti al fisco, come redditi e consumi tracciati, per sviluppare futuri redditometri. Tuttavia, ha anche evidenziato la delicatezza di questo approccio, sottolineando la necessità di un accordo con l’Autorità Garante della Privacy e la tutela dei dati personali.
Inoltre, il viceministro ha menzionato che le informazioni ottenute dai social network potrebbero essere utilizzate dall’Agenzia delle Entrate per formulare proposte di reddito nell’ambito del concordato preventivo biennale. Questo sistema dovrebbe diventare operativo a partire dal 15 giugno, con la disponibilità di un software di auto-calcolo per i contribuenti. Tuttavia, resta incerto (impossibile) come il software integrerà specificamente le informazioni dei singoli contribuenti prese dai social network.
L’uso dei social media per integrare o potenziare il redditometro appare fattibile, ma restano i dubbi sulla capacità del fisco di dimostrare un collegamento diretto tra i post sui social media e potenziali redditi non dichiarati.